FOCUS 2 /09.2021
(07.09.2021)
Isolati, privati dei contatti fisici e affettivi, separati come mai prima, ma paradossalmente uniti – al di là di qualsiasi confine geografico o culturale – da un comune destino e dalla paura.
Pan-divisione e pan-unione allo stesso tempo (e se il tempo fosse quello della notazione agogica musicale, sarebbe certamente un Grave, molto lento).
E in tutta questa triste vicenda, all’arte cosa è successo?
Direi che se la sia vista piuttosto brutta, è stata la prima a infettarsi, il vero paziente zero.
Mai ci saremmo aspettati di vederla malata e questo ci ha sconvolto, abbiamo provato ad areare i locali aprendo le finestre, l’abbiamo esposta dai balconi, ma non bastava… lei soffocava. Allora le abbiamo attaccato monitor di ogni sorta e perché rimanesse in circolo, abbiamo chiesto a chiunque avesse una vena, artistica ovviamente, di offrirla alla flebo della fibra ottica.
L’arte lottava tra la vita e la morte, non rimanevano che i mezzi estremi: streamingarla, instagrammarla e infine you-intubarla.
Sentivamo che dovevamo salvarla a tutti i costi, non era nemmeno pensabile una vita senza arte.
Tanta determinazione ci ha infine ripagati perché, nonostante la paziente fosse vecchia, anzi decrepita e fragilissima, nello stupore generale, ce l’ha fatta! L’arte è sopravvissuta.
Vi siete chiesti come abbia fatto?
Io dico che innanzitutto, per definizione, l’arte è da considerarsi un soggetto sano, poi ha un legame che la tiene in vita: quello indissolubile con l’uomo e in ultimo una missione: nonostante non taccia dai tempi delle caverne, ha ancora moltissimo da dirci.
Ecco da cosa dovremmo ripartire: dall’arte sopravvissuta.
L’interrogativo a cui tento di dare una risposta, con questo mio scritto che è quasi un ragionamento a voce alta, è: “Alla luce di quanto avvenuto, l’arte potrebbe oggi guadagnarsi un ruolo nuovo?” e ancora… “Dovrebbe esprimersi in formule diverse dal passato?”.
Prima di rispondervi, faccio un piccolo passo indietro e vi racconto un aspetto interessante della mia storia di cantante lirica perché, nel mio piccolo, sono stata una coraggiosa innovatrice.
Negli anni 2000, a una cantante d’opera che come me si esibiva sui principali palcoscenici internazionali, si chiedeva di rimanere fedelissima al dogma della lirica, senza osare sconfinare in altri generi (nell’ambiente questo era perdonato, e a fatica, solo al grande Pavarotti).
Ho tenuto per anni il piede in due scarpe, quella stretta dell’opera lirica tradizionale e quella un po’ più larga dei concerti e ho gradualmente rivoluzionato il mio lavoro. Inizialmente introducevo nei miei recital, come chicca finale, un’aria in una lingua meno frequentata, per esempio il russo o il ceco. Poi, di serata in serata, ho cominciato ad ampliare il mio repertorio e a sperimentare accostamenti sempre più coraggiosi e originali tra le arie del grande repertorio operistico e le arie rare. Dopo poco tempo, le lingue erano diventate 11! così Puccini si ritrovava accanto un’aria cinese e Rossini una giapponese.
Tradizione e inedito erano sempre giustificati da un inaspettato fil rouge che stupiva il pubblico.
E’ chiaro che le mie esibizioni, pur appartenendo sempre al genere del recital lirico, erano ormai diventate ben altro: un viaggio immaginario tra diverse culture e soprattutto una beuta fumante di esperimenti intellettuali. E proprio come avviene in chimica, gli accostamenti tra elementi diversi induceva reazioni e generava nuove soluzioni.
Con mia grande sorpresa, la con-fusione tingeva di nuovi e inesplorati significati proprio le arie tradizionali, quelle che cantiamo e ricantiamo – quasi nello stesso modo – da centinaia di anni.
L’arte della giustapposizione – così l’ho sempre chiamata io – era un gioco troppo eccitante per fermarmi a un rimescolamento di arie eterogenee. Nel tempo quindi, mi sono spinta oltre e ho cominciato a introdurre nei miei spettacoli arti diverse, come la recitazione, la poesia e le suggestioni sensoriali.
Ho cambiato tutto, proprio tutto e quindi non potevo più definirmi un soprano.
Fu proprio Contemporary Urban, in una intervista, a tenere a battesimo il mio nuovo nome: Soprano D’Arti.
Vi ho raccontato la mia storia non come aneddoto sull’eclettismo di un soprano scalpitante, ma perché penso di essere una esperta in materia di mescolamenti, sconfinamenti e contatti tra arti diverse.
Rispondendo alla domanda posta poc’anzi, penso che l’arte possa avere oggi un nuovo ruolo: ricongiungerci. Ma non solo… penso che possa esprimersi in formule inedite, nuove, ricongiungendosi in una pan-unione di arti differenti. Non un banale cross-over ma piuttosto un cross-in: arti diverse legate una all’altra senza soluzione di continuità, proprio come due persone che si abbracciano e, confondendo i confini dei loro copri, creano una nuova realtà, quella appunto del contatto.
Sì, perché il contatto, come lo penso io artisticamente, è proprio qualcosa di letterale: cum-tangere, ossia toccarsi vicendevolmente. I soggetti toccati (in questo caso le differenti arti giustapposte), non sono più uguali in se stessi, perché il contatto è un processo di sensemaking – per dirla con parole di Karl Weick – che riorganizza il sistema in cui essi agiscono. L’atto di entrare in contatto riorganizza il sistema, cambiandone i connotati, quindi il significato. Succede anche tra gli esseri umani, dove il contatto, in base a legami più o meno ampi o ristretti, laschi o serrati, crea sistemi di senso diversi, quali: la società, la comunità, l’amicizia e, stringendo ancor di più il laccio, l’amore.
Mai come in questo momento storico, l’uomo si è posto domande sull’importanza del contatto, ecco perché a mio avviso l’arte, sua stretta e fedelissima compagna, dovrebbe sedergli accanto e partecipare ai suoi turbati dialoghi interiori. Mi sembra quasi di vederli… l’uomo e l’arte, chiusi in una stanza con la mano sulla fronte, intenti a farsi domande su quanto sia vitale il contatto tra esseri umani, tra uomo e arti, tra arti e arti.
Questa è l’era in cui ci interroghiamo non solo sul contatto inteso come scambio e vicinanza tra persone, ma anche come connessione con la natura, percezione del tempo, con-vivenza col nostro corpo e armonizzazione con le emozioni.
Con la mia beuta in mano ripeto allora agli artisti amici, la mia proposta. Se è vero che nel 2020 abbiamo vissuto tutti il dramma della separazione e della mancanza di contatto, perché non affidiamo proprio all’arte il compito di riavvicinarci e ricolmare i vuoti di cui siamo circondati?
Arte per rimetterci in contatto, non solo fisicamente e idealmente, ma anche per riconciliarci con la natura, gli elementi, le nostre emozioni. La mia pan-unione delle arti potrebbe essere addirittura una proposta terapeutica.
Potremmo riscrivere attraverso le giustapposizioni, gerarchie che ormai diamo per acquisite, superando lo snobbismo e l’indifferenza di un’arte verso l’altra.
Un ideale laboratorio d’incontro potrebbe essere proprio un luogo come Contemporary Urban, dove dialogo, innovazione e multidisciplinarietà creano un ambiente molto fecondo.
Immagino allora progetti di giardini musicali dove i cantanti danno voce ai fiori, sculture che declamano poesia, istallazioni create per ridere, narrazioni materiche, video che scorrono su schermi vivi e non passivi, quadri che si auto-dipingono con i passi di un danzatore, attori che recitano improvvisando sul calore rosso di un tramonto.
Vi sembro troppo con-fusa? Forse, ma da queste considerazioni sull’importanza oggi del contatto, è nato Con-tactus 21, l’ultimo orizzonte (solo in termini di tempo), della mia arte di giustapposizione.
Nella mia beuta, oltre agli altri elementi già presenti (musica, arti e messaggi a scopo umanitario), ho aggiunto la scienza e la filosofia.
Eccone i particolari: Con-tactus 21 è un ciclo di concerti – di qui il riferimento al tactus musicale – ossia il battito che pulsa nella musica – in cui al canto si giustappongono le arti visive, la recitazione di testi autorali, le riflessioni di filosofi e le divulgazioni di scienziati. In chiusura, come in ogni mia performance, un messaggio umanitario sul tema affrontato, perché se l’arte parla agli uomini, nessuno deve essere escluso.
Senza alcun riferimento diretto alla pandemia, Con-tactus 21 è un dialogo e una riflessione sul concetto di Contatto oggi – anno 2021 – che si declina attraverso 4 appuntamenti, divisi in un prologo e tre atti.
- CON-TACTUS 21 – Prologo: L’uomo e i quattro elementi
- CON-TACTUS 21 – Atto I: L’uomo e il tempo
- CON-TACTUS 21 – Atto II: L’uomo e i sei sensi
- CON-TACTUS 21 – Atto III: L’uomo e le emozioni
Solo per dare un esempio pratico di come possa svolgersi una performance Con-tactus 21, descriverò sommariamente il Prologo.
La serata è ideata come un viaggio attraverso quel cum-tangere tra uomo e i quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco.
Ogni elemento è narrato attraverso la musica, i testi recitati e le riflessioni intellettuali e scientifiche. L’ambiente stesso dove ha luogo la performance partecipa alla narrazione, diventando un caleidoscopico palcoscenico di suggestioni visive e sensoriali.
Si parte dall’acqua, il primo elemento con cui l’uomo entra in contatto. La sala diventa completamente buia, trasformandosi in un ideale ventre materno, sul battito sordo del cuore materno, inizia il canto…
Segue l’elemento dell’aria, il primo respiro; poi la terra su cui l’uomo muove i suoi primi passi e a cui rimarrà indissolubilmente legato per tutta la vita. In ultimo, il fuoco, inteso sia come intelligenza (secondo il mito di Prometeo), sia come forza delle passioni, prima tra tutte, l’amore. Tra un’aria classica e un canto etnico, si snodano gli interventi di un filosofo e di uno scienziato. Avviene così, per esempio, che dopo aver visto le aree celebrali che si accendono mentre una madre allatta il proprio figlio, mostrate da un neurologo, si possa ascoltare la ninna nanna Summertime, oppure dopo aver ascoltato le riflessioni di un filosofo sul legame tra l’uomo e il pianto – le lacrime sono l’acqua a cui affidiamo l’espressione delle nostre emozioni più intense – si possa ascoltare l’aria di Haendel “Lascia ch’io pianga”.
Dopo aver parlato di possibili amori senza contatto fisico (come quello mistico), il Prologo del contatto si conclude con il messaggio umanitario in a favore dei Bambini Farfalla, affetti da Epidermolisi Bollosa, una terribile malattia genetica rara. I bambini che ne sono affetti, a causa della estrema fragilità della loro pelle, non possono essere toccati, quindi neanche semplicemente abbracciati dalle loro madri.
Questo è il mio modo di fare arte: riprodurre attraverso la giustapposizione di musica e arti, il flusso multiforme e multisensoriale in cui siamo ininterrottamente immersi. La giustapposizione è per me una azione di senso che cerca orientamento nel mondo invisibile dei sensi e visibile delle azioni.
Cari amici artisti, siamo sopravvissuti, la vita va avanti e l’arte con lei, ora è il tempo di riconnetterci.
E se gli attori greci sembra usassero le maschere per amplificare le loro voci – e noi ancora possiamo ascoltarli – da dietro le nostre mascherine, dobbiamo far sentire le nostre ancora più forti perché l’arte possa dire tutte quelle cose che ancora non ha detto, raggiungendo le generazioni future.
Questo ultimo con-tactus, quello col futuro, è forse l’azione di senso di maggior responsabilità che ci venga affidata ora, in un presente che di senso sembra proprio non averne.
*il nome Con-tactus 21 e le idee esposte sono proprietà intellettuale di Silvia Colombini, diritti riservati.
Immagine di Nah